GArt Gallery presents: Fabio D’Aroma
E niente, poi un giorno arriva Fabio D’Aroma.
Lo contatto per telefono e a distanza di poco si presenta all’appuntamento in galleria, con quel modo di fare composto e circospetto – un po’ allarmato – che mi ha subito ricordato la diffidenza amichevole tipica degli americani verso chiunque non sia americano. D’Aroma, d’altra parte, da oltre dieci anni vive negli Stati Uniti dove si è trasferito finita l’Accademia e dev’essere proprio per quello, mi sono detto.
Entra in galleria, estrae dal foglio di pluriball il “Can’t help falling in love with Y’all” – il Satiro con le cuffie per intenderci – e da quel momento “stop alle telefonate”.
Non mi va prendermi troppo sul serio nel commentare le opere di D’Aroma, diventerebbe ridicolo ogni mio tentativo di costruire un pensiero critico intorno al suo lavoro o, peggio ancora, di circoscrivere la sua arte associandola a uno stile o relegandola a una composizione di “ismi”.
Quando ci troviamo di fronte a qualcosa di mai visto, e ci sentiamo brancolare nel buio, d’istinto mettiamo le mani avanti cercando dei riferimenti per sdrammatizzare il senso di spaesamento dove ci siamo ritrovati. Ma con Fabio D’Aroma non c’è verso di arrivare da nessuna parte.
Le sue opere sono oggetti non identificati, sebbene siano perfettamente definite.
Sono forme di vita alienata, cresciuta parallelamente alla nostra, sotto il foglio di carta trasferibile del nostro sistema, in una contro-realtà negativa chiara e incomprensibile.
Dentro un universo appiattito dove spazio e tempo appaiono consumati da loro stessi, la dimensione risultante sembra essere etica, ma secondo quale linguaggio? Nulla a che vedere con l’idea antropologica del bene e del male. Provare per (non) credere.
Grazie Fabio.